| Fonte: Toronews.net
Antonio Janni: campione granata, tra talento e sfortuna Vej Turin / L'analisi storica di Roberto Voigt
Quando il 29 giugno 1987 Antonio Janni si spense nella sua casa in corso Agnelli, il Toro non perse solo un giocatore simbolo: ad andarsene era qualcosa in più. Ancora oggi, infatti, Janni rappresenta il modello, l’archetipo del genio granata: un giocatore forte fisicamente e contemporaneamente furbo, tatticamente duttile, intelligente e perseguitato (da avversari e malanni). Innamorato della propria squadra tanto da sedersi più volte, appese le scarpe al chiodo, sulla panchina granata, Antonio Janni, ricevuta l’investitura a calciatore da Bachmann, si caricò il Toro sulle spalle per diciassette anni prima di consegnarlo, da allenatore, al capitano dei capitani: Valentino Mazzola. Nato a Santena nel 1904, Janni comincia a tirar calci al pallone ancora ragazzino, nelle squadre giovanili granata. Qui conosce i suoi primi due grandi estimatori: Bachmann e Pozzo. Lo svizzero, capitano della prima squadra e primo cuore Toro della storia granata, lo “adotta” seguendolo, regalandogli consigli mentre Pozzo, altrettanto impressionato, nel 1921 decide di schierarlo ancora sedicenne in prima squadra. È il 10 aprile e si gioca Torino-Mantova. Janni parte centroattacco, non segna ma serve due assist a Calvi: il Toro vince 3 a 1 e Pozzo può godersi le giocate del suo nuovo campioncino, sicuro di averci visto giusto. Le reti non tardano ad arrivare: una doppietta il 22 maggio contro il Legnano e il gol decisivo, per la vittoria di misura, ancora contro i virgiliani. La marcia granata si arresta, in quella stagione, solo a giugno nello spareggio contro il Legnano, la partita infinita. In meno di due mesi Janni ha saputo conquistare un posto nell’undici titolare, dove resterà, coprendo vari ruoli, fino al 1937. Con il passare delle stagioni il giovane ragazzino diventò sempre più protagonista: nel 1922-23 guidò il Toro al secondo posto del girone nazionale, a 4 punti dalla Pro Vercelli campione d’Italia, segnando 12 reti in 22 partite. Il fisico gracilino di Janni è ormai sbocciato e ora il calciatore piemontese può contare anche sulla fisicità per imporre il gioco, dando magnifiche prove di regia quando venne chiamato in centromediana a sostituire Bachmann. Domenica 23 novembre 1924 il ragazzo di Santena, ventenne, esordì in Nazionale a Duisburg, contro la Germania. E fu proprio lui, al 57esimo minuto, a decidere la partita insaccando con una zuccata un lancio dello sfondareti Levratto. Così, se in Nazionale Janni è ancora utilizzato sulla linea degli attaccanti, nel Toro la sua posizione arretra in mediana, dove scriverà la storia granata giocando in coppia con un altro prodotto del vivaio: Mario Sperone. Saranno nove le stagioni vissute in perfetta simbiosi dai due che, come ricorda Perucca, «vissero insieme, tra spogliatoio e campo, fra amicizia e bicchieri di barbera». Il 1924 fu anche l’anno in cui Cinzano, giunto al vertice della società, decise di affiancare a Janni altri campioni. Iniziarono così stagioni intense e felici culminate con lo scudetto. Il gruppo rispose bene, nonostante i grandi nomi che vestirono la maglia granata, compattandosi al carisma di Baloncieri e Janni s’integrò perfettamente nella nuova squadra, raggiungendo il traguardo di 17 reti nella stagione 1925-26. Mai intimidito dall’avversario, Janni era solito non levare mai la gamba da un contrasto. Questo coraggio, molto apprezzato da tifosi e compagni, gli regalò spesso mazzate e infortuni. Il 4 maggio 1930, durante Torino Brescia, Janni, tornato in campo da tre settimane dopo un infortunio, cadde sul terreno colpito brutalmente da Angelo Pasolini, che già nei minuti precedenti aveva tentato di intimidire il calciatore granata con botte e insulti. «Quello che mi fa rabbia è di essere stato colpito proditoriamente alle spalle […] in quel momento non ero in possesso di palla […] un attimo prima avevo scorto Pasolini a una decina di metri da me. D’improvviso mi sentii come falciare le gambe […] non avvertì il dolore […] poi quando feci per rialzarmi, mi parve che tutto girasse intorno a me. Il dolore alla gamba spezzata mi dette delle fitte acutissime e l’urlo della folla mi rintronò nel cervello». Portato via in barella, con un piede penzolante che pareva staccato dalla gamba, in molti pensarono che Janni fosse finto. Si dovette aspettare un anno prima di rivederlo in campo: il 26 aprile del 1931, contro la Pro Patria. Nonostante un ginocchio “pasolinizzato” la storia d’amore tra Janni e il Toro non era (ancora) destinata a finire. Altre partite attendevano il piemontese, unico della “vecchia guardia” ad alzare un altro importante trofeo: la Coppa Italia 1935-36, conquistata in finale contro l’Alessandria. Altre due presenze nella stagione successiva e poi il trasferimento a Varese, dove da calciatore passerà allenatore. E proprio qui, nel capoluogo lombardo, Janni s’imbatté in un altro enfant prodige, Franco Ossola, che segnalato immediatamente al neopresidente granata Novo passò alla storia come il primo mattone del Grande Torino. Così la stagione 1942-43 segnò uno storico passaggio di consegne: Janni, in panchina, consegnò il testimone donatogli da Bachmann ai vari Bodoira, Ellena, Grezar, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ferraris (per citarne qualcuno). La storia e la tradizione granata erano in ottime mani e i risultati non mancarono: in quella stagione il Toro mise in bacheca Campionato e Coppa Italia, realizzando il primo double della storia del calcio italiano.
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