| Continuano le polemiche sulla rete... Da Toroit È granata! Non è fucsia! La lenta spersonalizzazione del Toro
di Mauro Saglietti
Recentemente è successo qualcosa di diverso in ciò che resta del mondo granata Diciamola tutta. Siamo andati avanti per anni a parlare delle celebrazioni che hanno a che fare con avvenimenti luttuosi della nostra storia, spesso usurandoli e svuotandoli di significato.
Superga presa d’assalto come un pretesto per fare le fotografie con i giocatori. Altre ricorrenze celebrate più per fingere di avere un’importanza, mentre il presente sfila asfittico e piatto, incapace di generare ricordi. Quest’anno però è capitato qualcosa di particolare ed inaspettato. Credo che le ricorrenze di Meroni e Ferrini non abbiano avuto il solito stucchevole sapore partecipantista e basta. Sarà stata forse la puntata di Sfide, che ha reso così bene omaggio a Gigino. O forse sarà stato altro, non so. Fatto sta che abbiamo assistito a una grande partecipazione di sommessa commozione. Inattesa, forse anche un po’ ritrosa. Per molti di noi è stato come ritrovarsi di fronte a una lapide in un giorno di pioggia e ritrovarsi al fianco di un amico che non vedevamo da tempo. Accorgersi che… sì, accorgersi per la prima volta Ferrini non c’è veramente più. Che Gigi non tornerà. Non sono il solo ad avere avuto questa sensazione. Per molti di noi è stato come uscire da una bolla scolorita e ritrovarsi con amici che non ricordavamo di avere. - Anche tu qui…? Pensavo non venissi… - Sì, oggi qualcosa mi ha chiamato… Non è Gigi, non è Giorgio. O forse sono anche loro. Ammassati in un presente asfittico, che non vogliamo e nel quale non ci riconosciamo, abbiamo forse trovato rifugio in tempi che avevano una collocazione di presente. I capelli lunghi, il ritmo della musica. Il battito di una città in crescita. Non, non sono stati loro forse. Ci siamo commossi per noi, rivedendo il film della nostra vita, sospirando sommessamente per quanto ci hanno rubato e non potrà tornare mai più. Emozioni, speranze, senso di appartenenza. Tutto quello che il presente granata ha rimosso. E poi… E poi c’è stato qualcuno che ha tentato di modificare non soltanto la nostra appartenenza al presente. Ma anche quella al passato.
La sfortuna di questa rubrica è quella di uscire il venerdì, altri prima di me hanno avuto modi e opportunità di raccontare il loro disgusto per quanto andato in onda sui canali Rai. La fiction su Meroni è stata una bestemmia, un insulto non solo alla vita del calciatore, ma alla cultura di chi non si sente omologato al ruolo di deficiente programmato. Sarebbe bastato poco in effetti. Una inquadratura più stretta sullo stadio di Marassi, in modo da nasconderne la ristrutturazione pre-mondiale ’90. Un valido editor in grado di eliminare beceri riferimenti spazio temporali inesistenti. Una figura del genere costa. Poco ma costa. La riduzione costi di quest’opera insulsa, si è avvalsa tuttavia della presunta ignoranza della gente, alla quale, si è pensato, tutto sarebbe andato bene comunque. Ed è questa sottile malafede, questa distorsione di valori a dare estremamente fastidio. Ho sentito alcuni fratelli di tifo mormorare – Eh, ma va bene lo stesso, cosa volete pretendere…? - Ma sì, in fondo basta che se ne parli…
No signori. Non basta che se ne parli. L’accontentismo, l’accettazione incondizionata che qualcuno venga a modificare il tuo DNA, cambiando leggermente il suo registro di colore, è soltanto il primo passo per l’accettazione dell’ulteriore modifica che arriverà inevitabilmente in seguito. E’ un po’ ciò che sta capitando a livello sociale, il Toro è anche un microcosmo di socialità e sotto questo punto di vista non fa eccezione. Il granata, signori, non è fucsia. Altrimenti un giorno, accettazione dopo accettazione, arriverà qualcuno a dirci che è bianco e nero.
Non bastava la distorsione del presente, la sua mistificazione, l’allontanamento progressivo dai suoi livelli di appartenenza, per il quale molte persone stanno fuggendo non solo dallo stadio ma, dall’idea di Toro. Una disappartenenza più volte gridata al vento in maniera disperata, dai più accettata però a colpi di applausi. Non bastava questo. Un processo di crescita difeso da mantra ossessivi e ripetuti, che spaziano dal compralo tu il Toro al ricordare il fallimento attraverso il ti meriti Ciuccariello. La ridondanza crea un’eco che viene spesso scambiata per verità. Internet poi seleziona le opinioni e basta cantarsela e suonarsela un po’, tra pochi fidati, per credere di possedere idee universali. Una modificazione della realtà che parte da un bagno di folla entusiasta per El Kaddhouri a luglio, e passa attraverso l’invenzione di vittorie sbandierate per tutta la settimana (Roma) Tra parentesi, facciamo gli auguri a Mister Ventura! Nella malaugurata ipotesi in cui il Torello non riesca a battere il Catania, verrà superato il record negativo della storia degli allenatori granata, ovvero 3 vittorie in 26 partite, per ora soltanto uguagliato, il cui detentore era Renzo Ulivieri (anche se una scuola di pensiero parla di 3 su 27). Un peccato fermarsi proprio ora, a un passo dalla storia, questa volta reale, non certo la Storia nella quale siamo entrati dopo aver fermato la Roma (un gruppo di persone ha festeggiato in centro – orrore). Devo scusarmi se non ho l’ampiezza di vedute per comprendere questo entusiasmante processo di crescita, Tuttavia auguriamo al nostro Mister di non riuscire nell’impresa, in fondo alle volte basta anche arrivare a un filo dall’impresa, magari dominando per il 90%, no? Intervallare la serie nera con una vittoria, per giunta contro una diretta concorrente, non sarebbe male, no? Insomma, una piccola vittoria, cosa pretendiamo in fondo? Piccolina. Una vittoriuccia piiiicola. Ma per carità. Non dovesse arrivare, nessuno farebbe drammi. Come sostengono i profeti dell’accontentimento, vogliamo mica fallire, no?
Il tentativo da tempo è quello di far passare il messaggio che sì, il granata è granata, ma tutto sommato chi se ne frega se la sua tinta è un po’ sbiadita. Ma sì, anche se non è proprio giusta… Va bin li stes! Ma sì.. Ma sì… Ma sì una sega. Non credo si sia più in grado di lottare nel presente, la panoramica dello stadio parla più di qualsiasi statistica. I danni fatti, tra mille campionari di scuse, ognuna con la sua frasetta pronta, sono stati forse irreparabili. Continuiamo a ripeterci di essere un milione di tifosi. Bene, forse lo eravamo qualche anno fa, è inutile continuare a ripeterci queste balle autorassicuranti. La perdita di tifosi continua, continuando su questi binari viene davvero da chiedersi quanta gente sarà rimasta tra pochi anni, soprattutto tra i giovani, che sono encomiabili, ma che non possono inventarsi ciò che noi non riusciamo a dar loro, e neanche a fargli comprendere.. Va bene, se questo è il presente che si vuole, chi vuole accontentarsi di questo, si accontenti, battendo le mani. E poi forse, alla fine, ci ritroveremo davvero di fronte alla lapide di Meroni, non per partecipare a una ricorrenza, e neppure per ricordare lui, quanto per piangere noi stessi e ciò che, tra mille scuse, non siamo riusciti a mantenere in vita.
Ma sia ben chiaro. Né io e neppure altri, tollereremo revisioni sciatte su quello che abbiamo vissuto, o revisioni mortifichiate tipo “il Toro è sofferenza”. No, lo potrà anche essere talvolta, ma il Toro non è soltanto questo. Era mille altre cose, ben più importanti che un gelato al gusto di sapone, come lo si vuole far passare ora. Il Toro è granata, non è fucsia, e non lo sarà mai.
|